Imperversa lo scandalo P4. Anche chi non ha seguito approfonditamente la vicenda si sarà reso conto che quanto si legge sui giornali sia più fumo che arrosto. Idem le recenti intercettazioni tra la Santanché e Briatore: puro gossip a orologeria. Eppure tutti ne parlano, la magistratura si è mossa, l’Anm minaccia, molti si sono scandalizzati e hanno visto in queste vicende confermate le loro convinzioni: Berlusconi mafioso, maiale, pedofilo, ladro e corruttore, nonché manipolatore dell’informazione.
Da un lato gli scandali – gonfiati -, dall’altro la retorica della primavera giunta finalmente anche da noi, le narrazioni di Santoro & C, il vento finalmente cambiato. Falso. Il vento non è cambiato, gli italiani non si sono risvegliati, ma semplicemente una parte di moderati si è stancata delle promesse non mantenute dalla compagine governativa. I numeri delle opposizioni sono rimasti più o meno invariati, se non addirittura calati anch’essi; di certo molti voti si sono spostati verso posizioni più radicali, ma non dal serbatoio Lega-Pdl. Questi semplicemente si sono astenuti. Se Berlusconi ha deluso le opposizioni non hanno convinto. Questi i numeri, ma quello che ci raccontano è diverso.
Nulla di nuovo. Ricordate le elezioni politiche del 2006? Tutti erano convinti Berlusconi avrebbe perso, come in realtà accadde, ma solo per un pugno di voti e non per quello scarto che certa stampa ci aveva fatto credere. Poi si parlò di incredibile rimonta, in realtà lo smottamento catastrofico non ci fu mai stato. Fini e Casini non fecero campagna elettorale, avvallando con il loro comportamento rassegnato la sconfitta annunciata. Solo Berlusconi, come sempre, ad una riunione degli industriali suonò lo squillo di tromba, affermando la vittoria fosse possibile. Si perse, come detto, ma veramente per un soffio. Mancò la convinzione e la sindrome del cappone a Natale si impadronì di molti moderati, ottusi da una micidiale campagna mass-mediatica: “avete perso, non serve nemmeno andiate a votare”.
La stessa che è in moto a pieno regime dai casi Carfagna, Noemi, Topolanek, D’Addario, fino a giungere al caso Ruby. Che fine hanno fatto quegli scandali? Nulla. Che conseguenze hanno avuto Sabina Guzzanti e suo padre, Paolo, quando dichiararono esistessero intercettazioni che facevano pensare la Carfagna occupasse il posto che occupava per dubbi meriti? Nulla. Che conseguenze ha avuto Antonello Zappadu che violò la privacy della residenza del premier, a Porto Rotondo, con potentissimi obiettivi? Nessuna. Chi lo pagò per quegli appostamenti durati, parrebbe, quasi due anni? Non si sa. A parte il caso Ruby, vicenda tutt’ora di piena bocassiniana attualità, tutto finì nel niente. Ma per il premier e la sua immagine, in Italia e all’estero, è stato devastante.
A margine dello scandalo D’Addario ci fu quello sulla sanità pugliese. Cose gravissime, da far accapponare la pelle, si è parlato addirittura di arti amputati anche quando non ce ne sarebbe stato bisogno per vendere protesi artificiali. Coinvolti personaggi vicino a D’Alema. Ne avete saputo più qualcosa? Nulla. Delle tonnellate di veline uscite dai tribunali, principalmente per riempire le pagine di Repubblica, il Corriere e Il Fatto Quotidiano, ha pagato qualcuno? Sì, ma mai presso quei lidi, infatti ad essere stato condannato per “Abbiamo una banca?” di fassiniana memoria è stato l’imprenditore Fabrizio Favata, mentre per Paolo Berlusconi, in qualità di editore del Giornale che pubblicò l’intercettazione il 31 dicembre 2005, il procedimento inizierà il prossimo 4 ottobre. Toh, che caso.
Molte sono state le inchieste condotte da giornali di area riconducibile al centro-destra. Le più famose sono state quelle su Boffo e sull’appartamento Tulliani’s. Hanno avuto successo perché c’è stata una forte reazione delle opposizioni che, involontariamente, le hanno alimentate. Macchina del fango, si disse. Peccato la condanna a Boffo ci fosse tutta, ma Feltri venne comunque censurato. Colpa di una velina imprecisa o semplicemente indimostrabile. Una condanna vera offuscata da dettagli irrilevanti proprio da quella compagine che trova di solito gravissima anche solo una prescrizione, se a goderne è il Cav. L’appartamento, invece? Lì, stagliato al tiepido sole monegasco, solido, immobile appunto, con tanto di società off-shore. Mica un ologramma. Com’è finito? In nulla, presidente della Camera incluso. Ma dalla vicenda emerse anche uno strano personaggio, Walfenzao e degli strani intrecci con delle società che si occupavano di slot machines. Ne avete più saputo qualcosa? Nulla. Nessuno proseguì quella inchiesta che rimase solo giornalistica.
Ma di casi analoghi ve ne sono a bizzeffe: gli affari di famiglia di Granata, Briguglio, Bocchino; lo scandalo delle Coop in Umbria, quello mai neanche esploso delle macerie dell’Aquila e ancora il caso “Felce e Carrello” e molti altri. Tutti esempi, a parte Boffo e Tulliani, accomunati dal fatto di aver occupato solo marginalmente le prime pagine dei quotidiani e mai della così detta informazione “libera”, quella che descrisse come attendibile e diede amplissimo spazio ad un imbroglione come Ciancimino. Parentesi: com’è che Ciancimino è nelle mani di Ingroia, gestito cioè proprio da quel magistrato che per tanto tempo si è fatto perlomeno prendere per il naso proprio dallo stesso soggetto? Forse, se non si avesse voluto dare l’impressione di permettere proprio ad Ingroia di riparare i guai da lui stesso causati, sarebbe stato il caso di assegnare l’inchiesta ad altra procura. Ma anche questa obiezione, lapalissiana, rimarrà lettera morta. Demerito della stampa di centro-destra, certo, che non ha saputo fare sistema e sensibilizzare l’opinione pubblica come sarebbe stato doveroso, ma anche e soprattutto perché non una di queste vicende (a parte quelle note e del cui esito – ridicolo e imbarazzante – ben sappiamo) sono state prese a cuore da alcun magistrato, decretandone quindi ufficialità e gravità. Tutte finite in bolle di sapone, ignorate da una magistratura distratta o piuttosto interessata solo ad indagare a 360 gradi sul Cav.
In questo clima dell’informazione squilibrato ed inquinato il TG di Minzolini – un TG senza infamia e senza lode come ve ne sono moltissimi in Europa, con tanto di servizi di alleggerimento – diviene pietra dello scandalo, mentre la denuncia di Stefano Campagna a Bianca Berlinguer, dossieraggio. Inutile sottolineare che Campagna si sia già dimesso dall’Usigrai, mentre alla direttora nessuna abbia mai chiesto men che nulla.
Paolo Visnoviz, 18 giugno 2011
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)
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