Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta all’isola che non c’è.
Una volta esistevano le sezioni. Peccato non averne salvata una per ogni partito storico da visitare come bene culturale. La nostra generazione è cresciuta in quelle stanze austere, mai riscaldate abbastanza, ciclostile e nebbia di sigarette, tubo, acqua, colla, notti insonni a coprire i manifesti degli altri, e gli altri a coprire i nostri. Le sentinelle, senza cellulare, a macinar chilometri per coprire il territorio.
Chi non ci è finito dentro almeno una volta nel prezioso secchio, alzi la mano. Ed ogni tanto il capo a gratificarci di una visita, con un bel “pat pat” sulla zucca, una bottiglia di Asti, un pacchettin di pasticcini.
L’alluvione di mani pulite distrusse ogni reperto di questo interessante universo di archeologia politica e sociologica. il tempo fece il resto. Ma ecco che dalle ceneri risorsero variopinti e disordinati, i clubs di Forza Italia. Bandiere di bel nuovo e cassettina con inno ed istruzioni, casalinghe, creaturi, vecchietti, tarallucci e vino. Carino e nazionalpopolare, una ventata di giovinezza per tutti. Doveva cominciare una nuova stagione. Non cominciò, ma non per questo perdemmo l’entusiasmo e la fiducia per quell’ometto creativo, certamente stravagante che aveva d’un colpo messo al palo tutta la sinistra e tutti i giacobini. In fondo le sue contrarietà sono state le nostre. Volevamo lo stessa cosa.
Ed è per questo che non ci stupiamo affatto se oggi alla affermazione: “bisogna metter mano al partito” il Cav risponda: “quale partito?”
Intanto non si fuma più, il ciclostile è andato su ebay. Il profumo della sezione, dove nascevano amori, ci tiravamo le sedie e poi imbastivamo la linea politica è entrato nel tempo perduto. Quello di Forza Italia, invece, resta persistente, sullo sfondo come un manicaretto cucinato dietro chissà quale finestra irraggiungibile. Esce fuori quando noi, la “gente comune” ci impadroniamo della scena e prendiamo le nostre bandiere, cantiamo, ci emozioniamo. Diciamola tutta: noi, con i nostri azzimati dirigenti abbiamo ben poco da spartire. Con i rimpasti di governo per nulla, e quante volte ci sbattiamo in poltrona perché vorremmo essere al loro posto, mica per lo stipendio, ma per dare la risposta giusta al momento giusto. Le correnti non ci piacciono, non ci piacciono le fondazioni, e detestiamo tutte le sigle che ognuno si costruisce per sé, professando a chiacchiere lealtà al movimento e preparando il suo personale ricattuccio. Insomma il lago scintillante di sole è sparito e sono rimaste le correnti.
Questo vortice dissennato ha prodotto Gianfranco Fini ed è pronto a tirarne fuori anche degli altri. Tirata di qui, tirata di lì, la barca fa acqua ed il capitano comincia a scocciarsi dell’insipienza dei marinai. Lui si diverte con noi, mica al consiglio dei ministri. Il Cav vuole un partito leggero, elastico, una specie di comitato elettorale che si allarghi e si restringa a tempo e a luogo con i volontari pronti a raccogliere le istanze sul territorio e gli eletti ad esaudirle. Ma tutte le volte che ci prova i suoi espertoni tirano fuori un pasticcio senza interlocutori che resta appeso come uno straccio bagnato. Eppure, quanto sarebbe facile con Internet! Basterebbe volerlo, ma nessuno lo vuole. Per carità, l’orticello anzitutto, pure se i cetrioli sono striminziti. Si dice è colpa sua, vuole un partito ad personam. Certo!, ma perchè, Sarko, Obama che hanno? I partiti di oggi sono tutti ad personam o non sono.
Lo sanno bene i fanatici delle correnti ad personam. Se solo qualcuno guardasse al di là del proprio naso dilatato dall’ingordigia, magari se ne verrebbe a capo. Invece, niente. Campa cavallo, che uno strapuntino per riciclarsi, anche nell’ipotesi peggiore, si trova sempre.
Angela Piscitelli, 12 aprile 2011
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