CHE ITALIA VOGLIAMO?

Meriggio estivo sulle rovine della comunità europea. Gli Italiani tutti dall’alpe alla Sicilia a godersi la controra al caffè, le due fazioni guardandosi in cagnesco.

Tutto va male? Forse. Non avevamo abbastanza guai, ci mancava pure l’armée Brancaléon a far la guerra a Gheddafi, e poiché la sinistra ha trovato nel Cav il capro espiatorio per ogni contrattempo e disgrazia, ci crediamo in diritto di trovare un capro anche noi. Anzi, per meglio dire, una capra.

Dunque. Circa un anno fa, Mister Tulliani, fulminato già da un bel pezzo sulla via di Damasco decise di mettersi a fare proprio opposizione, o per meglio dire di certificare ciò che era chiaro anche alla mucca Carolina: “Il Cav mi pesa sui cosiddetti, non l’ho mai sopportato, va be’ che mi ha sdoganato tanti anni fa, ma che c’entra. Non è che per questo uno a vita debba sciropparselo. Sciò”. Con l’intento preciso di “fare futuro senza Cav” l’inde-fesso masticatore di gomme si mise a fare il bastian contrario stracciando tutti i patti, mettendo in piedi una mozione di sfiducia e, soprattutto “okkupando” (eh, si con due kappa) la terza carica dello Stato; che è una “camera con vista” da cui fare opposizione barricadera risulta molto agevole. Già perchè l’okkupante pro tempore, a differenza di tutti gli altri, compreso il capo dello Stato, non è sfiduciabile.

Per aggiungere altra colla all’incollato tronetto, Mister Tullliani strinse un’allenza di attak con gli altri intoccabili: i magistrati rossi. Anche la famigerata casalinga di Voghera capisce che in tale situazione, altro non si può fare che difendersi alla buona, non certo fare le riforme, perché tanto, quando non ci riesce il parlamento del “tcB” (tutti contro Berlusconi) a bloccare, ci pensa la Corte Costituzionale. La restaurazione può dormire tranquilla su tre guanciali e preparare un post-Cav a sua immagine e somiglianza: montecarli, montezemoli, montedipietà trallallà. È la repubblica parlamentare, bellezza.

Ma c’è di peggio. L’estero, per le itale genti, è terra di vacanza in club méditerranée. Perché a differenza degli altri che pure hanno perso la guerra, e di nefandezze ne hanno fatte assai più di noi, siamo relegati faccia al muro senza poter rivendicare il diritto di curarci i nostri affari. “A-a-ah!, cattivelli! questo non si fa”. Ed è così che una cascata di cachinni indignati seppellì la storica frase del Cav: “non telefono a Gheddafi per non disturbarlo”, che era invece un capolavoro sommo di politica estera pro-patria-nostra. La gioiosa macchina del conformismo si schierò subito a falange per stringere il cerchio intorno all’anomalo: l’opposizione, giacché un’occasione così ghiotta manco se fosse scesa un’astronave a prelevarlo poteva darsi, e la maggioranza perché in materia nebulosa, quale l’estero, tanto vale accodarsi agli altri che magari si sbaglia di meno. Perfino il mite Napolitano, dismesso il sogno d’una presidenza pacioccona tutta inaugurazioni insieme a Clio, ha imbracciato la carabina arrugginita e si è arruolato tra i guerrafondai. E’ la repubblica parlamentare, bellezza, bis.

Cosi ci troveremo senza riforma della giustizia,senza contratti con la Libia e con qualche milione di “migranti” in offerta speciale, direttamente giunti dalle galere africane spalancate per sedicenti rivoluzioni varie ed eventuali.

Se avessimo una Repubblica Presidenziale, il parlamento sarebbe stato sciolto dal presidente con i poteri, ce ne sarebbe stato uno nuovo, con la poltrona decollata che avrebbe fatto riforma della giustizia, taglio dei parlamentari, abolizione delle province, etc. etc. E il presidente con i poteri avrebbe potuto dire all’analogo Franzé. “Uè uè! Gheddafi gli affari li fa con me: liberté égalité fraternité, la Libia a me, Dio per tutti, e ognun per sé”. Bersani e c. avrebbero potuto sempre arruolarsi nella legione straniera. Non ne avremmo sentito la mancanza.

E’ legittimo domandare a noi stessi: “che Italia vogliamo?” Certo, non essendo sinistri, non siamo catastrofisti: è chiaro che si può tirare avanti cosi’ ancora per altri 150 anni aspettando che di nuovo si azzuffino Baudo e Vespa e coltivando ignavi l’arte di arrangiarci, fratellastri d’Italia. Se invece ne abbiamo le scatole piene, se accarezziamo qualche volta il sogno di essere una Nazione, se un po’ ci umilia il fatto che i nostri figli debbano crescere in un Paese dove solo il 9% ritiene che gli ideali siano importanti per un politico, allora dobbiamo scendere in piazza e chiedere a gran voce che queste regole truccate e desuete vengano cambiate. È inutile strepitare “menomalecheSilvio c’è” se poi non si è capito davvero che un uomo da solo non può cambiare l’Italia: dobbiamo essere noi a volerlo. La rivoluzione liberale non si può fare in poltrona, con il telecomando. Si fa con la mobilitazione civile. Referendum propositivo per cambiare la Costituzione in senso presidenziale. Non c’è tempo da perdere.

 

Angela Piscitelli, 10 aprile 2011

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