Dai Sex Pistols a Enrico Ruggeri, dalle Br ai Black bloc, da Heidegger a Glucksmann fino all’uomo europeo contemporaneo, la vigilia di Natale.
Vigilia di Natale. Famiglia. Tra una fetta di panettone e un caffè passo vicino ad un televisore rimasto sciaguratamente acceso, che nessuno nemmeno guarda. Elettrodomestico autonomo, ventriloquo di se stesso, morfina subliminale, antidoto a sottili, disarmanti silenzi. I pixel riproducono Enrico Ruggeri e per un attimo cattura la mia attenzione. Canta un classico natalizio in chiave punk appena accennata. L’effetto è disastroso, penoso, goffo: ne esce una patetica rappresentazione da ribelle edulcorato per famiglie, formato natalizio. Dissacrante appena un po’, non troppo da poter dar fastidio e disturbare la digestione. Esibizione che non riesce nemmeno a sembrare citazione, risultante stolida mercificazione di incomprese idee altrui. Perfetto specchio della nostra società contemporanea.
Negli anni ’70/’80 pensavamo di aver toccato il fondo, credevamo la società fosse divenuta definitivamente nichilista. Sbagliavamo. I Sex Pistols possedevano ancora una forza dirompente, oggi sconosciuta, e le Brigate Rosse avevano una ideologia, anche se ammazzavano veramente. In modi errati, distruttivi, demenziali e nel caso delle Br, criminali, la società era ancora pervasa da energie capaci di scuotere le coscienze. Oggi no. Il ni-ente è adesso e nessuno attende più l’aurora.
Ruggeri sta ai Sex Pistols come i No Tav o i Black Bloc stanno alle Br. Privi di forza, parodie di battaglie già perdute, senza coraggio né convinzione, pallidi echi di un passato scomparso, espressioni di un nulla assordante. I movimenti “anti” sono divenuti movimenti “no”, perché incapaci persino di opporre idea contro idea. Si scagliano contro dei bancomat, delle ferrovie, qualche McDonald’s. Non più ideologia, ma metodologia. Altri piantano le loro patetiche tendine ad igloo per protestare contro le caste, gli indici di borsa, la finanza, i debiti sovrani. Ovvero non sono nemmeno in grado di identificare il nemico da combattere, ma scalpitano, si agitano e, come tori nell’arena, si scagliano contro il drappo rosso e non contro il torero che, prima di matarli, li prende pure per i fondelli. Ad altre latitudini le primavere arabe altro non sono che il nuovo modo di sovvertire le strutture di potere delle nazioni per soggiogarle, spendendo e rischiando pure poco. Popoli sobillati da anonimi agit-prop telematici che, per l’illusione di divenire artefici del loro destino, infilano incoscientemente un cappio al collo, conto terzi.
Il nichilismo non è ancora tramontato: è in pieno divenire, più nulla che mai. La via a Dio (il pensiero prima del mondo), al Cosmo (ordine e armonia), all’Io (anima immortale) si è rivelata illusoria o è stata semplicemente smarrita, ed è stata sostituita dal nihil. Una decostruzione avvenuta nel tempo, che ha trovato la sua prima effettiva applicazione concreta nell’immediato dopoguerra:
«L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso», ma «essa portava però in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.» (Manifesto di Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni. 1941)
«Tutti i cavalli lividi dell’apocalisse hanno fatto irruzione attraverso la mia esistenza, la rivoluzione e la carestia, lo svilimento della moneta e il terrore, le epidemie e l’emigrazione; ho visto crescere sotto i nostri occhi, e diffondersi tra le masse, le grandi ideologie, il fascismo in Italia, il nazionalsocialismo in Germania, il bolscevismo in Russia e anzitutto, pestilenza delle pestilenze, il nazionalismo che ha avvelenato il fiore della nostra cultura europea.» (Die Welt von Gestern. Erinnerungen eines Europäers, Stefan Zweig. 1944)
Di questo siamo figli. Eredi di paure motivate abbiamo intrapreso e perseguiamo con lucida convinzione la strada dello sradicamento identitario, filosofico, culturale, politico. La crisi europea prima di essere economica è di pensiero. Annullate le concorrenze, bandite le selezioni naturali si è scientemente separato il concetto di cultura da quello di civiltà perché «la ricerca incoercibile di valori divide, non introduce la concordia, ma la guerra» (Le due strade della filosofia, André Glucksmann. 2010). Da Dio è morto a Dio è il male.
Il pensiero contemporaneo occidentale, ed europeo in particolare, trova il suo minimo comun denominatore non in nome di valori, ma di antivalori. Arresosi anche nelle intenzioni di schiudere le porte del paradiso si accontenta di sperare di riuscir ad ostruire quelle dell’inferno. Incapace di darsi un Dio l’Europa ha scelto di accettare ogni religione – delle quali le culture dei popoli sono cascami -, non valorizzando ogni identità, ma equalizzandole, rendendole uniformi ed indistinte, cercando di conciliare l’inconciliabile. Ogni cultura viene accettata a patto non sia identitaria, quindi cultura. L’Occidente, credendo che il pensiero sia il problema, ha smesso di pensare e pensarsi. Non dubito, quindi sono.
Le bestie muoiono senza sapere, gli dei sanno senza perire, l’uomo occidentale ha scelto di non saper morire.
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